Gli archeologi a Pompei usano l'iPad Pro – Artribune

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Il dispositivo, che viene fornito con uno scanner LiDAR ad alta tecnologia, secondo gli esperti dell’Università di Tulane sta cambiando l’archeologia
Spazzole, setacci, pale, cazzuole e… iPad Pro. Gli strumenti dell’archeologo stanno cambiando: a dirlo sono i professionisti dell’Università di Tulane dopo un periodo di ricerche a Pompei. Durante il progetto Pompei I.14 della scorsa estate, durante il quale sono stati riportati alla luce degli oggetti di un’antica cucina romana, gli archeologi hanno utilizzato l’iPad per documentare ed esaminare i ritrovamenti, ricostruendo le tipologie di utilizzo di questi manufatti da parte dai loro creatori. “L’iPad è lo strumento perfetto per l’archeologia”, ha commentato all’Apple Newsroom (sito ufficiale delle notizie sul brand) l’archeologa Allison Emmerson, professoressa della Tulane University a capo dello scavo.
Emmerson ha lavorato insieme all’archeologo Alex Elvis Badillo per integrare il dispositivo nella pratica professionale, sviluppando nuove tecniche per il suo utilizzo in situ. “Gli scavi archeologici sono un processo distruttivo, nel senso che una volta che un luogo è stato scavato, quel lavoro non può mai essere ripetuto. Per questo la nostra preoccupazione principale è la registrazione completa di tutti i dati rilevanti, in modo che i futuri ricercatori possano ricostruire il sito“, ha spiegato ancora Emmerson. Qui entra in campo il dispositivo: “L’iPad Pro ci consente di raccogliere dati in modo più rapido, accurato e sicuro rispetto a qualsiasi altro strumento, e dispone della potenza di elaborazione di cui abbiamo bisogno per aggregare le informazioni e presentarle in un modo nuovo”. L’insolito aiutante è persino dotato di uno scanner LiDAR, una tecnologia a laser che offre funzioni di rilevamento della profondità (tipicamente utilizzata sugli aeroplani per aiutare a mappare la topografia coperta da una fitta vegetazione) che ha portato a numerose scoperte rivoluzionarie negli ultimi anni.
L’iPad può aiutare a creare una “registrazione digitale” dello scavo archeologico, includendo fotografie, appunti e disegni delle trincee di scavo, mentre su siti più piccoli può creare anche mappe 3-D che registrano con precisione dov’è stato portato alla luce ogni singolo manufatto. “Il modo in cui ho sempre registrato gli scavi passati era su carta con matite o penne”, ha detto Jordan Rogers, professore del Carleton College del Minnesota e supervisore degli scavi. “Quando disegnavi qualcosa, lo facevi su carta millimetrata, mentre le foto venivano scattate su fotocamere separate e dovevi caricarle manualmente una volta tornato a casa. Tutto era in un posto diverso e ogni notte ci volevano diverse ore per trasferire gli appunti della giornata sul computer”. Ora, tutti questi dati possono essere archiviati automaticamente in file da rendere accessibili anche online.
I risultati degli scavi dell’Università, condotti nell’arco di cinque settimane durante l’estate e da proseguirsi nel 2023 e 2024, stanno sfidando le prime ipotesi degli archeologi su questa particolare cucina pompeiana, che si pensava risalisse al II o III secolo a.C. Ora, anche grazie alla presenza determinante di una rara moneta commissionata dall’imperatore Augusto, gli studiosi si stanno orientando verso una data successiva, intorno al I secolo d.C., cioè non molto tempo prima della drammatica eruzione vulcanica che pose fine alla vita della città. Non solo: nonostante alcune teorie sostenessero che Pompei si trovasse in difficoltà già da prima dell’eruzione, la professoressa Emmerson ha rilevato che da questi scavi si desumono dei “miglioramenti alle sale da pranzo, che ci portano a credere che Pompei non fosse una città in declino al momento dell’eruzione, anzi: era fiorente”.
Giulia Giaume
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